François Gabart, l’ingegnere-velista che sogna un mondo migliore - La Stampa

2022-12-21 17:00:15 By : Ms. Emily xie

La voce de La Stampa

A colloquio con lo skipper francese alla vigilia dell’udienza giudiziale che deciderà se potrà correre la Route du Rhum con SVR Lazartigue. La battaglia “per un mio diritto”, ma anche l’impegno ambientale, i sogni, il futuro della vela e un giro del mondo “in meno di 40 giorni”.

Ho aspettato. Volevo capire se dal giorno in cui sono salito sul maxi-trimarano di François Gabart, l’ingegnere che sogna, al 23 giugno, data in cui il Tribunal judiciaire de Paris si riunirà per esaminare l’azione legale presentata dal velista francese insieme con Didier Tabary, il patron del Groupe Kresk, il suo sponsor, in difesa del suo maxi-trimarano SVR Lazartigue, fossero sopravvenute novità. Ripensamenti. Ma non ne ho contezza. E allora, nell’attesa, posso raccontare.

Sedetevi comodi, perché sarà lunga.

La storia di SVR Lazartigue

SVR Lazartigue (il nome è quello di due dei tre marchi della cosmetica che fanno capo al gruppo Kresk, vale a dire SVR, Lazartigue e Fillmed) è il successore di Macif 100, il multiscafo sempre a tre scafi di 30 metri con cui nel 2017 Gabart aveva strabiliato tutti circumnavigando il globo in solitaria in 42 giorni 16 ore 40 minuti 35 secondi (boom!). La nuova barca è un altro trimarano gigante, di 32 metri, un concentrato di tecnologia che può volare sino a 50 nodi e forse più, ma che soprattutto è stato concepito dai maghi VPLP, lo studio di architettura navale con sede in Francia fondato da Marc Van Peteghem e Vincent Lauriot-Prévost, e il team di Gabart, MerConcept, per tenere a lungo medie pazzesche, di almeno 40 nodi.

L'Ultim Svr Lazartigue (G. Gatefait)

Gabart aveva cominciato a costruire SVR Lazartigue - che allora si chiamava Macif 101 - con l’appoggio di Macif, il colosso di mutua assicurazione francese, che lo aveva sostenuto per tanti anni. Ma il rapporto di sponsorship alla fine si è interrotto. La pandemia, certo. “Ma sono anche cambiate molte persone all’interno di Macif”, mi dice Gabart. Come dire, sono sempre gli uomini a fare la storia.

Dall’ondata, però, lo skipper si è ripreso, perché ha incontrato Tabary – che già il nome ricorda quello del mitico Eric Tabarly e ci è simpatico a prescindere. Bretone di Trébeurden, imprenditore visionario e fortunato, Tabary è l’uomo che ha lanciato nell’empireo della cosmetica Filorga, società che ha messo a disposizione in farmacia e in profumeria il know-how antietà dei professionisti che forniva. Nel caso dei consumatori, un complesso polirivitalizzante applicabile sotto forma di crema. Un successo, che ha poi venduto tredici anni dopo per 1,5 miliardi di euro a Colgate-Palmolive. E nel 2014, Tabary è ripartito con Kresk. Un illuminato del business, che è anche appassionato di vela – è armatore di una barca a vela di 36 metri (attualmente in Polinesia) - e che crede nel messaggio ambientalista. Tanto da trasformare il nuovo trimarano di Gabart nel messaggio, consentendogli di terminare la costruzione e di affrontare la stagione sportiva (iniziata con la Transat Jacques Vabre), come testimonial di Kresk4Oceans, un fondo creato dal gruppo per finanziare progetti di salvaguardia del mare e dell’ambiente.

Il trimarano diventa un caso

Arriviamo al punto. La barca è varata nel luglio 2021, debutta alla Transat Jacques Vabre e arriva seconda (il duo Gabart-Laperche è dietro Le Cléac'h-Escoffier), quindi si prepara per la Route du Rhum 2022. Nel frattempo, Gabart compie un giro a tappe nel Mediterraneo per portare il messaggio ai dipendenti del gruppo Kresk, laddove ci sono delle sedi. E’ un modo per farli sentire partecipi al progetto, vengono tirati a sorte i nomi di chi potrà salire a bordo, ma anche una prima campagna media. Sulla via del ritorno da Tunisi a Marsiglia il velista migliora anche il record di percorrenza con 13 ore, 55 minuti e 37 secondi a una velocità media di 33,7 nodi.

Ma c’è un tarlo che inquieta Gabart. SVR Lazartigue per iscriversi alla transatlantica che salperà il 6 novembre prossimo da Saint-Malo per la Guadalupa necessita del certificato di stazza. Che la Classe Ultim, cui appartiene, non gli rilascia. C’entra una presunta e contestata irregolarità nel posizionamento dei winch rispetto alla tuga, che si troverebbero in una posizione non consentita dalla regola 3.11 dell’Offshore Special Regulations a cui deve rispondere la classe. Senza l’ok, non c’è certificato di stazza. E senza quest’ultimo, da presentare entro il 6 ottobre, non si può essere sulla linea di partenza della Route du Rhum.

Gabart non ci sta. “Abbiamo lavorato duro su questa barca, rispettando le misure, in collaborazione con la Federazione della vela francese – mi dice -. Ci sono stati controlli durante la costruzione, abbiamo avuto un expertise finale per controllare che tutto rispettasse le regole. Poi ne abbiamo fatto un secondo, con persone diverse, che ci ha confermato che tutto era corretto…”. Pare siano due suoi avversari – ci sono tre barche attualmente nella Classe Ultim - ad essersi opposti al via libera (si è tirato fuori un terzo, Francis Joyon). Il caaso è stato portato anche davanti alla World Sailing.

Ma Gabart non può aspettare. Così, è passato al contrattacco, con un’azione legale sostenuta anche dal suo sponsor Tabary. “Sono imbarazzato per tutto quanto sta accadendo. Ma dobbiamo combattere per il nostro diritto, dobbiamo farlo per poter essere sulla linea di partenza della Route du Rhum”. La speranza è che la Corte di Parigi si pronunci prima della sospensione feriale di agosto.

Arrivo a bordo che sono imbardato come se dovessi attraversare l’Oceano. Cerata, giubbotto salvagente. Ma siamo nel Mediterraneo, c’è caldo e c’è poco vento. Gabart mi accoglie in pantaloncini corti, ciabatte e polo, dopo aver seguito il mio passaggio acrobatico con scivolata dal gommone allo scafo di sinistra. La barca sta avanzando nel nulla e fila che è un piacere, come se aspirasse l’aria.

Gli scafi blu hanno una linea molto fluida, aerodinamica. Il boma si può abbassare a filo di coperta, come abbiamo visto su Luna Rossa. Bracci e parte centrale sono “carenati” con un tessuto blu molto resistente e teso allo spasimo, che è lì per ridurre la resistenza all’aria. A poppa c’è una sorta di pozzetto, con una ruota, ma i posti di comando in realtà sono a centro-prua: ci si trova appollaiati su un sedile con le gambe a penzoloni e la testa che spunta all’esterno, protetta da una cupola di plexiglass tipo jet da combattimento.

Qui c’è il volante (non riesco a chiamarlo timone), che è collegato all’autopilota e che è dotato di un sistema – mi hanno detto si chiami così – di force feedback che ti dà l’impressione di sterzare. Io ho tenuto abbastanza la rotta che mi ha indicato il navigatore, sistemato sotto l’altra cupola (io a dritta, lui a sinistra) almeno finché il vento non è venuto meno del tutto. Allora, abbiamo avviato il motore.

Ho lasciato così la ruota e sono sceso nell’area di manovra, dove ci sono due enormi “manovelle” e il centro di comando, con computer e altre diavolerie elettroniche. Tutto al chiuso, come sull’Imoca60 Hugo Boss di Alex Thomson. Il che mette un po’ di ansia, perché sei lì sotto e non ti godi il sole e l’aria, ma poi penso a quanto corre e dove va a finire questo gigante, immagino il Grande Sud, e allora capisco che essere al coperto, al sicuro, ti garantisce la vita in caso di ondate maligne e soprattutto in caso di ribaltamento.

François Gabart con Didier Tabary

Ci mettiamo a parlare in coperta, seduti sullo scafo centrale. Gli chiedo del volo, che gli consentono i due enormi foil. Il decollo, mi spiega, avviene con 11-12 nodi di vento, contro i 13-14 del vecchio Macif, perché c’è più superficie d’appendice in acqua. Il trimarano si alza quando viaggia a 22-24 nodi di velocità (26-28 con Macif) e di bolina raggiunge in un attimo i 30 nodi. A quanto può correre? Gli chiedo 50, lui mi fa “sì, sì” con la testa.

A questo punto, a quest’uomo che ha infranto il record del Vendée Globe nel 2012/13 con 78 giorni 2 ore e poi, nel 2017, l’ho già detto, i 42 giorni con Macif 100, devo chiedergli che vede lui nel futuro. Barche sempre più veloci? “Sì, vedo barche sempre più veloci e con sempre meno impatto ambientale, mosse cioè solo dalla forza del vento. E penso che questa sia una sfida molto interessante. Io non vedo limiti, se non quello dell’impatto ambientale. Non so dire se ci saranno barche più lunghe o più corte, ma penso che la sfida sia quella di aumentare l’efficienza e il controllo, così da poter spingere ancora più avanti la velocità, con maggiore sicurezza”.

Insisto, si potrà correre a vela a 60 nodi? “Penso di sì, perché la vela sta vivendo una rivoluzione con i foil, incredibile. Una rivoluzione interessante per chi compete come me, perché riesci a ridurre la resistenza all’acqua. Questo significa che puoi aumentare la velocità, ma anche che puoi anche diminuire un po’ la velocità ma consumare molto meno energia. Ed è questo quello su cui dobbiamo lavorare, perché il futuro deve vederci consumare meno. Barche come la mia aiutano a sperimentare, dall’autopilota al controllo del volo, sistemi che poi possono essere utilizzati anche da barche da crociera. Penso che questo sia lo scopo dello sport, imparare e fare meglio. Che non significa solo una ricerca della velocità fine a se stessa, ma anche aumentare l’efficienza, per utilizzare al meglio e in modo diverso queste barche”.

Resto nell’ambito sportivo, prima di passare a qualcosa di più personale. Gli Ultim sono prossimi ad un loro Vendée Globe. “Sì, è la Arkéa Ultim Challenge, che salperà da Brest nel 2023. Non ci saranno decine di barche, ma penso almeno quattro e questo la renderà unica”. E’ un’utopia pensare agli Ultim in gara, con partenza differenziata, nel Vendée Globe tradizionale? “Non vedo quest’ipotesi. Il Vendée e l’Arkéa resteranno due regate diverse”.

La domanda delle cento pistole. Hai fatto 42 giorni, si può fare ancora meglio? “Sì, possiamo andare molto forte e scendere sotto i 40 giorni”. Wow!

Arriviamo all’impegno ambientalista. Il gruppo Kresk punta su di lui come testimonial perché crede e vuole accelerare la svolta verde. E investe nella salvaguardia del mare e delle coste. Qual è il Gabart pensiero? “La salvaguardia del mare e dell’ambiente è un qualcosa che ciascuno di noi deve capire. E’ chiaro che per un velista il mare è importante, è parte della mia vita. Ma lo è per tutti gli esseri che vivono sulla Terra: non è possibile avere una buona vita se il mare non sta bene. Si parla molto dei cambiamenti climatici, ebbene l’equilibrio climatico si basa anche e soprattutto su quello del mare. Il mio primo obiettivo di questo progetto con Kresk4Oceans, che sta alla base anche di questa sponsorizzazione, è di spiegare a tutti l’importanza del mare, dell’impatto che ha sulle vite di tutti gli esseri viventi l’inquinamento da plastica. Questo è il mio ruolo come velista, come ambassador: dare a questo messaggio la massima diffusione”.

Un messaggio, un sogno. A proposito di sogni. Gli chiedo che cosa abbia sognato e che cosa sogna e François non si scompone. Sorride un poco, però. “Io sogno da sempre di navigare, su una barca come questa e di correre il più veloce possibile intorno al mondo e prima ancora sull’Atlantico. Questo è stato il mio sogno dall’età di sette anni. Quello che voglio fare, però, è anche quello di far sognare gli altri. Il senso di navigare è anche quello di far sognare con te e con il tuo team la gente che ti segue. E’ un modo per regalare un po’ di libertà, di ossigeno nella mente di chi non può farlo. Io sogno e condivido con gli altri il mio sogno. Non si tratta solo di farli sognare la vela: molti mi dicono che seguendo la regata vivono la mia avventura e questo dà loro la forza di sognare magari altro che vogliono fare”.

Ripenso alla sua vita. Ho appena letto la versione italiana del suo libro, “Sognare in grande”, pubblicato da Edizioni Mare Verticale (con dedica, ovviamente). Ripercorro la sua vita, velica dall’Optimist i su, i suoi studi, i suoi successi e anche i suoi fallimenti. E, appunto, i suoi sogni (scrive che è a capo di una start-up dei sogni). Il libro ve lo consiglio, perché è il racconto di un uomo che è riuscito a fare la sua vita, quella che voleva. Gli chiedo, allora, come ci è riuscito. C’entra anche la fortuna?, azzardo. “Certo, ci vuole anche la fortuna. Ma servono anche tanto lavoro e tanti sacrifici. Navigare, trovare sponsor, mettere insieme il team: tutto questo comporta moltissimo lavoro e sacrificio”. Lo interrompo, perché dice anche che lui non si sente velista al 100%. What? “Navigare è il mio goal, essendo io un velista. Ma questo significa anche investire tempo nella parte tecnica, nel disegnare la barca, nel costruire il team e a me, che sono ingegnere (e anche imprenditore, aggiungo) anche questa parte del mio lavoro piace molto”.

Torno alla domanda.  François sta vivendo l vita che ha voluto e che gli piace. “Se mi guardo indietro, non ho rimpianti o rimorsi: non avrei voluto fare altro. Vivo la vita che ho voluto e penso che questo sia davvero un grande privilegio”.

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